:: Elucubro ::

mercoledì, gennaio 31, 2007

Another trick on the wall

Geniale...

domenica, gennaio 28, 2007

Piccolo è bello

Sarà stato un caso, ma lo skilift solitario ha iniziato a girare non appena abbiamo alzato il cofano posteriore dell'auto per tirar fuori le tavole dalle sacche. Chiudiamo il portellone e l'impianto è nuovamente fermo. É tutto insolito in questa stazioncina fantasma. Non ci sono vetture, non c'è gente.

Non ci sono i tornelli, non c'è una cassa. Lo skipass ci viene fornito dallo stesso inserviente dell'impianto. La tessera sembra essere di carta igienica, per quanta acqua riesce ad assorbire. Con fare bradipico viene redatta di timbro "festivo" ed obliterata manualmente con la pinza come sui vecchi filobus di una volta. Infine, in uno slancio d'altruismo, l'omino esce dal suo gabbiotto e, ad uno ad uno, ci sistema per bene i laccetti sulle lampo dei giubbotti.

Non c'è acqua in questa località. Quella che esce dal rubinetto dell'unico bar, proviene da un serbatoio e se ne raccomanda l'uso parsimonioso. Ma oggi c'è tanta neve ed è per quello che noi, piccoli nomadi cacciatori di polvere, siamo qui, guidati sapientemente dalle cifre del Meteomont.

"Freerider attendisti", siamo riusciti a cogliere in pieno, con un pizzico di fortuna, l'attimo fuggente: il powder day che tanto aspettavamo. A differenza dei grandi resort blasonati, le piste sono sgombre, nonostante sia domenica. Ma non faremo altro che attraversarle occasionalmente per dare sfogo alla nostra smania di scivolamento silenzioso; tutt'intorno... nonostante il sabato trascorso, è neve immacolata, bella, bianca, intonsa, leggera, non tracciata.


Sarà per lo scorrere lento di un resort a misura d'uomo: senza code, senza intoppi; sarà per la situazione surreale nella quale ci troviamo: una dimensione degli impianti che avevamo dimenticato... che uno di noi, con una sottile punta di cinismo ha esclamato: "questa è la Scanno del futuro!".
Per la cronaca: Scanno è fallita.

Per il resto: non sapevamo più chi fossimo, dove fossimo, perché fossimo! Abbiamo tracciato l'inverosimile, fino allo sfinimento. Ha prevalso la nostra natura più atavica, l'ossessione viscerale per i pendii carichi di "borotalco", una fame assassina di scivolar sul ripido che ci ha cannibalizzato lo spirito. Il sali/scendi, il ripetere più volte le linee di discesa più elettrizzanti è stato il karma tramite il quale abbiamo raggiunto, con soli 15 Euro di giornaliero, il Nirvana più profondo.

La stazione si chiama:...
beh, non crederai davvero che venga a sputtanarlo qui! :)


(in foto, dall'ato verso il basso: "il biglietto della giostra" , "massimo affollamento" , "Adolescente ultraquarantenne")

martedì, gennaio 23, 2007

Il clima che cambia (ed io che sclero)

Che gli orsi non fossero andati in letargo lo si sapeva. Del resto, è l'effetto chiaro di una natura che si adatta ai cambiamenti. Checché se ne dica, una nota positiva. Dovrebbe allarmarci il contrario: se cioè, con questo caldo, fossero rimasti a dormire. Perché è altrettanto risaputo che gli orsi non hanno il calendario Max ad adornare la tana, non hanno un Oregon Scientific sul comodino e di certo non subiscono il camion della nettezza urbana durante la fase REM; gli orsi si svegliano q-u-a-n-d-o-f-a-c-a-l-d-o. É normale!
Certo, un po' meno normale il fatto che alcuni esemplari abbiano voluto recarsi all' Ursus Park (a loro titolato!) credendo magari di trovare amici plantigradi con i quali condividere l'insonnia... ed una session di freestyle.

Restando in tema blog: anche appassionati fuoripistaioli, sci-alpinisti e freeriders mostrano un adattamento sbalorditivo al clima mutevole. "Non ci sono sciatori!". Beh, è strano? Piuttosto oggi mi preoccuperebbe, sui nostri Appennini, vederli carvare sui sassi. L'animale uomo, fortunatamente si adatta e mountain bike, climbing o windsurf che sia, qualcosa si riesce sempre a tirar fuori dal cilindro. Darwin deve averci insegnato qualcosa o no?

Per certa stampa, l'effetto è più allarmate della causa. E via di fioriture premature, bucaneve che non trovano di che bucare e nuove specie ittiche sotto i mari. Corpo di mille balene (è l'espressione più pertinente che ho trovato pur di non bestemmiare), se sono un pesce a cui piace l'acqua calda è normale che mi trasferisco dove trovo la brodaglia. É sintomo che la natura funziona, che reagisce bene al cambiamento. In secondo luogo, e non per ordine d'importanza, con quel che costa il pesce azzurro, una fritturina di misto tropicale non la vedo poi tanto male.

La causa, ogni tanto bisogna ricordarlo, è il clima che cambia, o per meglio intenderci: sono molteplici le cause che cambiano il clima.
Dall'attività antropica (da quella famosa mela, l'uomo ha sempre una colpa) al famigerato Niño , passando per una eccezionale attività solare , tutto sembra alimentare il tam tam mediatico dei preveggenti del cataclisma; 70, 50, 30 anni ? Quando accadrà? Non è dato saperlo.
E se oggi ci propinano la ruvida supposta d'ansia quotidiana dei ghiacci che si sciolgono (veduta aerea di un crollo su una banchisa isolata; sempre la stessa, tristissima scena), costoro... probabilmente gli stessi, solo nel '73, ci allarmavano sulla spaventosa avanzata dei ghiacciai.

Forse c'eravamo troppo abituati a delle stagioni scandite con eccessiva regolarità. C'eravamo pigramente adagiati sugli allori di una cadenza di inverni di precisone svizzera. Pensavamo dell'autunno come del Festival di Sanremo, cazzo... arriva puntuale anche se non piace a nessuno!
Forse hanno ragione loro, i climatologi sensitivi e gli scienziati dell'apocalisse, ma non m'importa più di tanto. Comunque vada, effetto serra o no, nel dicembre 2012... MORIREMO TUTTI.

(in foto: "il clima che cambia". via snowboardplanet)

mercoledì, gennaio 17, 2007

Piccolo spazio pubblicità

C'è uno spot televisivo che da qualche giorno fa parlare di sé:
Un benzivendolo coccola un già annoiato cliente a bordo di una Fiat 500. Uno sbadiglio... ed il presumibile raver stakanovista finisce per fare compagnia, insieme al suo pezzo da museo, ad altri automobilisti in letargo.
"Fai il pieno di attenzioni" è lo slogan della voce fuori campo che sovrasta la dolce melodia finale di un carillon.

Niente di strano, se non per il fatto che il "cinquino" si alimenta sotto il cofano anteriore e soprattutto non ha mai avuto sportellini carburante sul parafango posteriore.

Schiere di dotti e sapienti della storia automobilistica italiana fanno mostra della loro cultura prepininfarina evidenziando l'errore. Stormi di maniaci degli errori TV pavoneggiano la ragguardevole scoperta ritenendola cronologicamente soffiata a Striscia. Sciami di farfalloni del superficial/chic se la ridono nei riguardi degli autori dello spot.

Nulla di tutto questo. C'è premeditazione: Markenting Virale; purché se ne parli, esattamente come sto facendo io.

martedì, gennaio 16, 2007

il Fuoco di Sant'Elmo

Mai augurerei ad alcuno di venire a conoscenza di tale fenomeno nello stesso modo in cui mi ci sono accidentalmente imbattuto. E già che ad una prima analisi dei fatti, nel più totale stordimento, non sarei stato nemmeno capace, non disponendo della forza per credere all' accaduto.
Iniziai a capire solo dopo, appresi ancora poi, in una delle mie letture d'alpinismo, isolando l'evento e riconoscendolo con il nome di "Fuoco di Sant'Elmo".

Non di cime impervie ed ambienti selvaggi, non di imprese avventate o azioni azzardate, non di situazioni rischiose e scriteriate, non di alta quota... l'episodio, risalente a qualche anno fa, ha come teatro un piccolo comprensorio sciistico abruzzese a soli 1600 metri sul livello del mare. "In pista" si direbbe, dove l'uomo impone la sua sicurezza aleatoria, fatta di regole, di tornelli, di tracciati ingabbiati, di neve a comando, di barriere, reti, cartelli e palizzate. Laddove insomma, si crede di essere tutelati dalla sicurezza fallace di pendii grossolanamente "urbanizzati".

Per la prima volta su me stesso, saggiai l'assoluta debolezza umana di fronte a manifestazioni naturali che definire potenti sarebbe quantomeno riduttivo... :


- I raggi del sole rimbalzavano sulla neve bianca come palline da tennis quando io e due amici riders ci approcciavamo ad infilare il gancio dello skilift tra le gambe; nulla faceva immaginare quanto si stesse per compiere. Otto minuti, tanto il tempo necessario per coprire gli 800 metri del lungo impianto. Non riuscimmo a completarlo che repentinamente fummo avvolti da nuvole bianchissime che provenivano velocemente dal basso come denso fumo. In pochi secondi, la visibilità fu compromessa a tal punto da non riuscire a scorgere né l'amico che mi precedeva né l'altro che mi seguiva.

Ancora pochi metri ed anche Eolo si sarebbe scagliato contro di noi, colpendoci con raffiche impetuose. Eravamo insomma, nel bel mezzo della bufera, quando scorgemmo a malapena l'avviso "Alt, sganciarsi" .
Comunicammo urlando, tanto era l'ululato del vento che, serpeggiando tra cavi e tralicci, ci faceva sentire ancora più piccoli ed insignificanti.
Ero l'unico con la mascherina, gli altri indossavano occhiali classici, non proprio adatti a garantire un'adeguata protezione degli agenti atmosferici del momento; così dissi, anzi... gridai loro che mi sarei prestato per fare strada ed orientarci in quel marasma d'opalescenza bianca e baluginio confuso.

Nel luccichio sempre più caotico in cui la mia vista s'arrendeva e nell'assoluta impossibilità di percepire pendenza e direzione non riuscii a fare che pochi metri, o almeno credo. Fermo, e trovato finalmente l'equilibrio statico, mi voltai a cercare loro, ma... dietro di me, il nulla. Bianco dietro e bianco davanti, bianco dappertutto.
Approfittando delle mie lenti a tenuta stagna ero stato evidentemente troppo veloce, gridai quindi i loro nomi un paio di volte, senza però ricevere altra risposta che non fosse quella di quel maledetto ventaccio che sembrava portasse con sé le voci di spiriti lontani.

Solo, decisi di proseguire confidando sul fatto che almeno loro erano in compagnia. Fluttuavo errando in un angosciante universo bianco, le cui stelle emettevano quello scintillio sparso che non era dato sapere se generato dal sottile nevischio alzato dal vento, o più propriamente da limiti congeniti dell'iride. In quel frangente, mentre la punta del mio snowboard era rivolta verso quella che sembrava discesa e mentre credevo di scivolare, avvertii un leggero, delicato tocco sulla punta del cappello. "Eccoli qui, i bastardi" pensai credendo che uno di loro mi stesse giocando un brutto tiro; ma voltandomi... ancora il nulla.
Incredulo mi avviai di nuovo accorgendomi poco dopo, di un rinnovato contatto di chissà quale oggetto o entità sulla sommità del capo. La sensanzione era quella d'aver ricevuto una sorta di pizzicotto al solo tessuto del mio copricapo, come se qualcuno provasse a sfilarmelo dall'alto. Iniziai ad agitare reiteratamente la mano destra sulla punta del cappello nell'intento vano di scacciare qualcosa di cui ignoravo l'esatta natura. Probabilmente, ero molto più simile ad un'apicoltore attaccato dai suoi insetti che ad uno snowboarder, tanto era il gesticolare confuso, ma il punto è che non capivo cosa diavolo stesse accadendo ed il caos generato dalla situazione non m'aiutava di certo! Finché... approfittando di una breve ed improvvisa mancanza di vento le mie orecchie riuscirono a percepire inequivocabilmente un crepitio forte e chiaro provenire dall'alto, appena sopra la mia testa.

Ora era Zeus a scagliare la sua ira! immaginai il bluastro di quella scarica elettrica che continuava a ronzare sulla mia testa. Istintivamente mi accovacciai, piegai le ginocchia quasi a toccare il sedere sulla tavola, mentre quest'ultima continuava a muoversi in una non meglio definita direzione. Il crepitio andava e veniva ma sembrava inseguirmi senza pietà ed io, nel disperato tentativo di nascondermi, di sfuggire all'inusitato, incrociai le mani sul capo quasi a voler sostituire i miei arti all'azione di un provvidenziale isolante.

Nell'insolita posizione che assunsi, caddi una volta, forse due... non ricordo. Ricordo però chiaramente che in quel frangente, dagli anfratti più reconditi della mia materia grigia, si materializzò l'immagine straziante di un cadavere carbonizzato. Una scena che ebbi la sventura di osservare qualche anno prima, una vittima di un incidente stradale che mi turbò non poco. Ricordai la sua testa annerita e fumante tra quelle piccole fiammelle ancora sparse qua e là sulla carreggiata e, fuori dal finestrino, quel polso in realtà molto più simile ad un tizzone sul quale luccicava, ormai incongruo, un braccialetto d'oro.

Persi la cognizione del tempo, ancora oggi non so dire se fui rincorso per secondi o minuti, la scarica elettrica pareva essere dotata di intelligenza, per tanto che riusciva a scovarmi in mezzo a tanto spazio. Ne sentivo l'ossessionante solletico sul cuoio capelluto, esattamente al centro del cranio. A nulla serviva lo scombinato agitarsi dei mie arti.

Pensai di morire, di finire arso come l'uomo dell'autostrada. E forse ci andai vicino perché poco dopo, l'enorme accumulo elettrico presente nell'aria trovò sfogo liberando simultaneamente un accecante bagliore ed un fragore a dir poco assordante. Fu il colpo finale. L'assoluta sincronia fulmine-tuono, il fatto che non fosse passata una sola, misera frazione di secondo tra i due, mi fece capire che ero proprio lì, nel bel mezzo della festa. Avevo il battito accelerato, provavo ancora smarrimento e stupore... sì, a dirla tutta ero meravigliosamente stupito d'essere ancora vivo e vegeto sulla madre terra dopo quel botto.

D'incanto, in maniera del tutto surreale, quello che seguì fu silenzio, inquietante silenzio. Le mie orecchie fischiavano ancora per la violenza subita, ma non fu difficile ascoltare, dopo un breve peregrinare, quel "dleng dleng" tipico dell'impianto di risalita. Lo seguii, cercando di non perdere quel flebile rumore continuo che proveniva dalla lontana destra. Il suono dello skilift fu il mio filo d'Arianna. La sagoma scura di un primo pilone si materializzò nella nebbia come un miraggio; se si fosse trattato d'un film avrei definito la sua apparizione una dissolvenza incrociata, inaspettata a tal punto da incutere timore. Di lì fu facile raggiungere il rifugio poco più in basso.

Il rifugio era colmo di gente spaventata, ognuno raccontava la sua esperienza. Nel mio silenzio, in piedi nella ressa, con il mento poggiato sulle mani che ora tenevano la tavola verticalmente, tentai di ascoltare tutti carpendo informazioni a destra ed a manca. Qualcuno in preda a panico, qualcuno disperato cercava l'amico; una ragazza, in particolare, narrava mimando di come i suoi lunghi capelli si fossero drizzati verso il cielo già prima che l'inferno si scatenasse.

I miei amici arrivarono poco dopo. Disorientati, erano scesi troppo perdendo la via del rifugio. Lo sgomento era ancora stampato sui loro volti.
Deridendo tutti, il sole tornò a splendere come nulla fosse accaduto.

Per saperne di più

domenica, gennaio 07, 2007

Il segreto di Pulcinella

Majella: c'è un grande segreto tra gli anfratti rocciosi. Un angusto pertugio costringe carponi verso l'inenarrabile. Né un segnale né un indizio; lo spettacolo stalattitico è appannaggio di pochi (?), fortunati eletti del passaparola.


C'è silenzio all'interno, c'è silenzio anche fuori. Sono però due silenzi diversi. Quello della grotta è ovattato, fuori dal tempo e dallo spazio, interrotto solo da una goccia che cade periodicamente; una dimensione diversa che sembra ignorare lo scorrere delle lancette. Con poco, nel rispettoso silenzio, si dimentica se fuori piove o c'è il sole, se è mattina o pomeriggio, se è inverno o estate. (Ma di quest'ultimo 'se' non ne siamo sicuri nemmeno fuori... 7 gennaio e siamo saliti in T-Shirt!)


"Bello ve'?" - dico appena usciti - "però, mi raccomando... non dirlo a nessuno!".