La montagna solitaria che unisce
L'attrazione per la "montagna madre" è viscerale e religiosa... ma al tempo stesso l'approccio è ludico ed effervescente. La Majella, fuori dai piccoli comprensori, è per lo più selvaggia e deserta. Non è frequentatissima, e questo forse le attribuisce una connotazione ancor più suggestiva.
Strano oggi, trovare due scialpinisti in preparazione all'imbocco della rava. Dal loro "buonciorno!" s'evince che non proprio di abruzzesi si tratta. Oltre ai doverosi saluti ed ai bip degli arva, null'altro ferisce il religioso silenzio di un bosco spoglio la cui staticità dona sfaccettature a volte spettrali.
Ci si ritrova così nel canale, quasi fossimo amici da sempre; due sciatori e due snowboarder intenti a guadagnare metri e metri di dislivello. Uno dei due è un treno, in breve guadagna la posizione dominante. Non è una gara, ma certe considerazioni sono inevitabili.
Ci si guarda negli occhi accennando ad un saluto, senza parlare. Un po' perché si è tra perfetti sconosciuti, un po' per risparmiare fiato evitando così d'interrompere quella raffinata sintonia nata dall'intreccio tra respiro e battito cardiaco.
Poco meno di un'ora e siamo completamente isolati gli uni dagli altri; ognuno procede solo con sé stesso ed i suoi pensieri. Evidentemente è ciò che si cerca in determinati luoghi. A cadenza regolare alzo la testa e verifico la mia posizione rispetto agli altri, anche lo "straniero" mi guarda dall'alto. So che misura la distanza, lo fa ad ogni traverso, come del resto faccio io, eppure non è una competizione. Mi accorgo che è un considerare le proprie capacità avvalendosi di un riscontro "estraneo". Non è nella mia volontà superare l'altro ma l'altro assume il considerevole valore di molla trainante.
É un bel gioco, tutti controllano tutti. Il primo si carica d'energia guardando la minuscola sagoma nera dell'ultimo sulla neve, il secondo trova riserve di forza insperate nell'intento di seguire il primo e così via. Oggi il gioco, vuoi anche per un canale che ci "costringe" nella direzione, è abbastanza equilibrato e tutto sembrerà reggere per un paio d'ore, finché l'antipatica nebbia non interverrà a chiudere le danze.
Tutto cambia. Ora nessuno vede nessuno. Ma tutti decidono per ridiscendere. Lo stridio delle lamine degli sci poco più in alto la dicono lunga sulle condizioni del manto. Anche qui ci guardiamo... da lontano, non appena la nebbia permette d'intravedere i colori delle giacche. Il loro procedere è lento ed accorto, noi facciamo altrettanto aiutandoci con la piccozza. Ci accorgiamo di condividere anche questo: una condizione talmente difficile che fa di una discesa solitamente impegnativa, una discesa estrema. Una pendenza di 35° fatta di ghiaccio marmoreo e disseminata di grumi durissimi. Curvare è quasi impossibile senza rischiare di rovinare verso il basso in una pericolosa centrifuga. Gli "stranieri" decidono per attraversare il tratto peggiore a piedi, sci in spalla. Noi lo facciamo a "foglia morta", faccia a monte; rimanendo così maggiormente pronti ad infilare la piccozza sul ghiaccio in caso di necessità.
Poco più in basso, la tensione s'allenta e ci si ritrova tutti a debita distanza a pennelar curve sulla neve ancora dura ma che inizia a farsi incidere più generosamente.
Laddove i sassi indicano in maniera eloquente la fine della discesa, ci ritroviamo finalmente insieme. Sorrisi d'approvazione e condivisione d'emozioni condiscono l'incontro ravvicinato con gli austriaci; si comunica in inglese, in un inglese talmente stentato (almeno il mio) da rasentare il ridicolo. Però ci s'intende...
Finiamo infatti tutti intorno ad un tavolo, l'unico occupato del ristorante, a mangiar spaghetti e bere birra. Scopriamo che i due, dopo aver girato le Alpi austriache, quelle svizzere, francesi... ed un po' di quelle italiane covavano ardentemente il desiderio di conoscere gli Appennini del centro Italia (così ingiustamente bistrattati dai locali - n.d.r.) e lo stavano facendo con grande entusiasmo. Nonostante avessero altresì gironzolato sul McKinley (Alaska - 6194 m.) e su un ottomila in Himalaya.
Ed io che fantasticavo, in salita... di star loro dietro! :)))
Strano oggi, trovare due scialpinisti in preparazione all'imbocco della rava. Dal loro "buonciorno!" s'evince che non proprio di abruzzesi si tratta. Oltre ai doverosi saluti ed ai bip degli arva, null'altro ferisce il religioso silenzio di un bosco spoglio la cui staticità dona sfaccettature a volte spettrali.
Ci si ritrova così nel canale, quasi fossimo amici da sempre; due sciatori e due snowboarder intenti a guadagnare metri e metri di dislivello. Uno dei due è un treno, in breve guadagna la posizione dominante. Non è una gara, ma certe considerazioni sono inevitabili.
Ci si guarda negli occhi accennando ad un saluto, senza parlare. Un po' perché si è tra perfetti sconosciuti, un po' per risparmiare fiato evitando così d'interrompere quella raffinata sintonia nata dall'intreccio tra respiro e battito cardiaco.
Poco meno di un'ora e siamo completamente isolati gli uni dagli altri; ognuno procede solo con sé stesso ed i suoi pensieri. Evidentemente è ciò che si cerca in determinati luoghi. A cadenza regolare alzo la testa e verifico la mia posizione rispetto agli altri, anche lo "straniero" mi guarda dall'alto. So che misura la distanza, lo fa ad ogni traverso, come del resto faccio io, eppure non è una competizione. Mi accorgo che è un considerare le proprie capacità avvalendosi di un riscontro "estraneo". Non è nella mia volontà superare l'altro ma l'altro assume il considerevole valore di molla trainante.
É un bel gioco, tutti controllano tutti. Il primo si carica d'energia guardando la minuscola sagoma nera dell'ultimo sulla neve, il secondo trova riserve di forza insperate nell'intento di seguire il primo e così via. Oggi il gioco, vuoi anche per un canale che ci "costringe" nella direzione, è abbastanza equilibrato e tutto sembrerà reggere per un paio d'ore, finché l'antipatica nebbia non interverrà a chiudere le danze.
Tutto cambia. Ora nessuno vede nessuno. Ma tutti decidono per ridiscendere. Lo stridio delle lamine degli sci poco più in alto la dicono lunga sulle condizioni del manto. Anche qui ci guardiamo... da lontano, non appena la nebbia permette d'intravedere i colori delle giacche. Il loro procedere è lento ed accorto, noi facciamo altrettanto aiutandoci con la piccozza. Ci accorgiamo di condividere anche questo: una condizione talmente difficile che fa di una discesa solitamente impegnativa, una discesa estrema. Una pendenza di 35° fatta di ghiaccio marmoreo e disseminata di grumi durissimi. Curvare è quasi impossibile senza rischiare di rovinare verso il basso in una pericolosa centrifuga. Gli "stranieri" decidono per attraversare il tratto peggiore a piedi, sci in spalla. Noi lo facciamo a "foglia morta", faccia a monte; rimanendo così maggiormente pronti ad infilare la piccozza sul ghiaccio in caso di necessità.
Poco più in basso, la tensione s'allenta e ci si ritrova tutti a debita distanza a pennelar curve sulla neve ancora dura ma che inizia a farsi incidere più generosamente.
Laddove i sassi indicano in maniera eloquente la fine della discesa, ci ritroviamo finalmente insieme. Sorrisi d'approvazione e condivisione d'emozioni condiscono l'incontro ravvicinato con gli austriaci; si comunica in inglese, in un inglese talmente stentato (almeno il mio) da rasentare il ridicolo. Però ci s'intende...
Finiamo infatti tutti intorno ad un tavolo, l'unico occupato del ristorante, a mangiar spaghetti e bere birra. Scopriamo che i due, dopo aver girato le Alpi austriache, quelle svizzere, francesi... ed un po' di quelle italiane covavano ardentemente il desiderio di conoscere gli Appennini del centro Italia (così ingiustamente bistrattati dai locali - n.d.r.) e lo stavano facendo con grande entusiasmo. Nonostante avessero altresì gironzolato sul McKinley (Alaska - 6194 m.) e su un ottomila in Himalaya.
Ed io che fantasticavo, in salita... di star loro dietro! :)))
P.S. per la cronaca: il canale è il Ravone della Vespa.
2 Comments:
mi è sembrato di essere con voi
By Anonimo, at 18:21
la sublimazione del linguaggio forse è proprio quando non serve parlare. dove finisce la parola e inizia la fusione cognitiva. che bello.
By naturagrezza, at 21:39
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