il Fuoco di Sant'Elmo
Mai augurerei ad alcuno di venire a conoscenza di tale fenomeno nello stesso modo in cui mi ci sono accidentalmente imbattuto. E già che ad una prima analisi dei fatti, nel più totale stordimento, non sarei stato nemmeno capace, non disponendo della forza per credere all' accaduto.
Iniziai a capire solo dopo, appresi ancora poi, in una delle mie letture d'alpinismo, isolando l'evento e riconoscendolo con il nome di "Fuoco di Sant'Elmo".
Non di cime impervie ed ambienti selvaggi, non di imprese avventate o azioni azzardate, non di situazioni rischiose e scriteriate, non di alta quota... l'episodio, risalente a qualche anno fa, ha come teatro un piccolo comprensorio sciistico abruzzese a soli 1600 metri sul livello del mare. "In pista" si direbbe, dove l'uomo impone la sua sicurezza aleatoria, fatta di regole, di tornelli, di tracciati ingabbiati, di neve a comando, di barriere, reti, cartelli e palizzate. Laddove insomma, si crede di essere tutelati dalla sicurezza fallace di pendii grossolanamente "urbanizzati".
Per la prima volta su me stesso, saggiai l'assoluta debolezza umana di fronte a manifestazioni naturali che definire potenti sarebbe quantomeno riduttivo... :
- I raggi del sole rimbalzavano sulla neve bianca come palline da tennis quando io e due amici riders ci approcciavamo ad infilare il gancio dello skilift tra le gambe; nulla faceva immaginare quanto si stesse per compiere. Otto minuti, tanto il tempo necessario per coprire gli 800 metri del lungo impianto. Non riuscimmo a completarlo che repentinamente fummo avvolti da nuvole bianchissime che provenivano velocemente dal basso come denso fumo. In pochi secondi, la visibilità fu compromessa a tal punto da non riuscire a scorgere né l'amico che mi precedeva né l'altro che mi seguiva.
Ancora pochi metri ed anche Eolo si sarebbe scagliato contro di noi, colpendoci con raffiche impetuose. Eravamo insomma, nel bel mezzo della bufera, quando scorgemmo a malapena l'avviso "Alt, sganciarsi" .
Comunicammo urlando, tanto era l'ululato del vento che, serpeggiando tra cavi e tralicci, ci faceva sentire ancora più piccoli ed insignificanti.
Ero l'unico con la mascherina, gli altri indossavano occhiali classici, non proprio adatti a garantire un'adeguata protezione degli agenti atmosferici del momento; così dissi, anzi... gridai loro che mi sarei prestato per fare strada ed orientarci in quel marasma d'opalescenza bianca e baluginio confuso.
Nel luccichio sempre più caotico in cui la mia vista s'arrendeva e nell'assoluta impossibilità di percepire pendenza e direzione non riuscii a fare che pochi metri, o almeno credo. Fermo, e trovato finalmente l'equilibrio statico, mi voltai a cercare loro, ma... dietro di me, il nulla. Bianco dietro e bianco davanti, bianco dappertutto.
Approfittando delle mie lenti a tenuta stagna ero stato evidentemente troppo veloce, gridai quindi i loro nomi un paio di volte, senza però ricevere altra risposta che non fosse quella di quel maledetto ventaccio che sembrava portasse con sé le voci di spiriti lontani.
Solo, decisi di proseguire confidando sul fatto che almeno loro erano in compagnia. Fluttuavo errando in un angosciante universo bianco, le cui stelle emettevano quello scintillio sparso che non era dato sapere se generato dal sottile nevischio alzato dal vento, o più propriamente da limiti congeniti dell'iride. In quel frangente, mentre la punta del mio snowboard era rivolta verso quella che sembrava discesa e mentre credevo di scivolare, avvertii un leggero, delicato tocco sulla punta del cappello. "Eccoli qui, i bastardi" pensai credendo che uno di loro mi stesse giocando un brutto tiro; ma voltandomi... ancora il nulla.
Incredulo mi avviai di nuovo accorgendomi poco dopo, di un rinnovato contatto di chissà quale oggetto o entità sulla sommità del capo. La sensanzione era quella d'aver ricevuto una sorta di pizzicotto al solo tessuto del mio copricapo, come se qualcuno provasse a sfilarmelo dall'alto. Iniziai ad agitare reiteratamente la mano destra sulla punta del cappello nell'intento vano di scacciare qualcosa di cui ignoravo l'esatta natura. Probabilmente, ero molto più simile ad un'apicoltore attaccato dai suoi insetti che ad uno snowboarder, tanto era il gesticolare confuso, ma il punto è che non capivo cosa diavolo stesse accadendo ed il caos generato dalla situazione non m'aiutava di certo! Finché... approfittando di una breve ed improvvisa mancanza di vento le mie orecchie riuscirono a percepire inequivocabilmente un crepitio forte e chiaro provenire dall'alto, appena sopra la mia testa.
Ora era Zeus a scagliare la sua ira! immaginai il bluastro di quella scarica elettrica che continuava a ronzare sulla mia testa. Istintivamente mi accovacciai, piegai le ginocchia quasi a toccare il sedere sulla tavola, mentre quest'ultima continuava a muoversi in una non meglio definita direzione. Il crepitio andava e veniva ma sembrava inseguirmi senza pietà ed io, nel disperato tentativo di nascondermi, di sfuggire all'inusitato, incrociai le mani sul capo quasi a voler sostituire i miei arti all'azione di un provvidenziale isolante.
Nell'insolita posizione che assunsi, caddi una volta, forse due... non ricordo. Ricordo però chiaramente che in quel frangente, dagli anfratti più reconditi della mia materia grigia, si materializzò l'immagine straziante di un cadavere carbonizzato. Una scena che ebbi la sventura di osservare qualche anno prima, una vittima di un incidente stradale che mi turbò non poco. Ricordai la sua testa annerita e fumante tra quelle piccole fiammelle ancora sparse qua e là sulla carreggiata e, fuori dal finestrino, quel polso in realtà molto più simile ad un tizzone sul quale luccicava, ormai incongruo, un braccialetto d'oro.
Persi la cognizione del tempo, ancora oggi non so dire se fui rincorso per secondi o minuti, la scarica elettrica pareva essere dotata di intelligenza, per tanto che riusciva a scovarmi in mezzo a tanto spazio. Ne sentivo l'ossessionante solletico sul cuoio capelluto, esattamente al centro del cranio. A nulla serviva lo scombinato agitarsi dei mie arti.
Pensai di morire, di finire arso come l'uomo dell'autostrada. E forse ci andai vicino perché poco dopo, l'enorme accumulo elettrico presente nell'aria trovò sfogo liberando simultaneamente un accecante bagliore ed un fragore a dir poco assordante. Fu il colpo finale. L'assoluta sincronia fulmine-tuono, il fatto che non fosse passata una sola, misera frazione di secondo tra i due, mi fece capire che ero proprio lì, nel bel mezzo della festa. Avevo il battito accelerato, provavo ancora smarrimento e stupore... sì, a dirla tutta ero meravigliosamente stupito d'essere ancora vivo e vegeto sulla madre terra dopo quel botto.
D'incanto, in maniera del tutto surreale, quello che seguì fu silenzio, inquietante silenzio. Le mie orecchie fischiavano ancora per la violenza subita, ma non fu difficile ascoltare, dopo un breve peregrinare, quel "dleng dleng" tipico dell'impianto di risalita. Lo seguii, cercando di non perdere quel flebile rumore continuo che proveniva dalla lontana destra. Il suono dello skilift fu il mio filo d'Arianna. La sagoma scura di un primo pilone si materializzò nella nebbia come un miraggio; se si fosse trattato d'un film avrei definito la sua apparizione una dissolvenza incrociata, inaspettata a tal punto da incutere timore. Di lì fu facile raggiungere il rifugio poco più in basso.
Il rifugio era colmo di gente spaventata, ognuno raccontava la sua esperienza. Nel mio silenzio, in piedi nella ressa, con il mento poggiato sulle mani che ora tenevano la tavola verticalmente, tentai di ascoltare tutti carpendo informazioni a destra ed a manca. Qualcuno in preda a panico, qualcuno disperato cercava l'amico; una ragazza, in particolare, narrava mimando di come i suoi lunghi capelli si fossero drizzati verso il cielo già prima che l'inferno si scatenasse.
I miei amici arrivarono poco dopo. Disorientati, erano scesi troppo perdendo la via del rifugio. Lo sgomento era ancora stampato sui loro volti.
Deridendo tutti, il sole tornò a splendere come nulla fosse accaduto.
Per saperne di più
Iniziai a capire solo dopo, appresi ancora poi, in una delle mie letture d'alpinismo, isolando l'evento e riconoscendolo con il nome di "Fuoco di Sant'Elmo".
Non di cime impervie ed ambienti selvaggi, non di imprese avventate o azioni azzardate, non di situazioni rischiose e scriteriate, non di alta quota... l'episodio, risalente a qualche anno fa, ha come teatro un piccolo comprensorio sciistico abruzzese a soli 1600 metri sul livello del mare. "In pista" si direbbe, dove l'uomo impone la sua sicurezza aleatoria, fatta di regole, di tornelli, di tracciati ingabbiati, di neve a comando, di barriere, reti, cartelli e palizzate. Laddove insomma, si crede di essere tutelati dalla sicurezza fallace di pendii grossolanamente "urbanizzati".
Per la prima volta su me stesso, saggiai l'assoluta debolezza umana di fronte a manifestazioni naturali che definire potenti sarebbe quantomeno riduttivo... :
- I raggi del sole rimbalzavano sulla neve bianca come palline da tennis quando io e due amici riders ci approcciavamo ad infilare il gancio dello skilift tra le gambe; nulla faceva immaginare quanto si stesse per compiere. Otto minuti, tanto il tempo necessario per coprire gli 800 metri del lungo impianto. Non riuscimmo a completarlo che repentinamente fummo avvolti da nuvole bianchissime che provenivano velocemente dal basso come denso fumo. In pochi secondi, la visibilità fu compromessa a tal punto da non riuscire a scorgere né l'amico che mi precedeva né l'altro che mi seguiva.
Ancora pochi metri ed anche Eolo si sarebbe scagliato contro di noi, colpendoci con raffiche impetuose. Eravamo insomma, nel bel mezzo della bufera, quando scorgemmo a malapena l'avviso "Alt, sganciarsi" .
Comunicammo urlando, tanto era l'ululato del vento che, serpeggiando tra cavi e tralicci, ci faceva sentire ancora più piccoli ed insignificanti.
Ero l'unico con la mascherina, gli altri indossavano occhiali classici, non proprio adatti a garantire un'adeguata protezione degli agenti atmosferici del momento; così dissi, anzi... gridai loro che mi sarei prestato per fare strada ed orientarci in quel marasma d'opalescenza bianca e baluginio confuso.
Nel luccichio sempre più caotico in cui la mia vista s'arrendeva e nell'assoluta impossibilità di percepire pendenza e direzione non riuscii a fare che pochi metri, o almeno credo. Fermo, e trovato finalmente l'equilibrio statico, mi voltai a cercare loro, ma... dietro di me, il nulla. Bianco dietro e bianco davanti, bianco dappertutto.
Approfittando delle mie lenti a tenuta stagna ero stato evidentemente troppo veloce, gridai quindi i loro nomi un paio di volte, senza però ricevere altra risposta che non fosse quella di quel maledetto ventaccio che sembrava portasse con sé le voci di spiriti lontani.
Solo, decisi di proseguire confidando sul fatto che almeno loro erano in compagnia. Fluttuavo errando in un angosciante universo bianco, le cui stelle emettevano quello scintillio sparso che non era dato sapere se generato dal sottile nevischio alzato dal vento, o più propriamente da limiti congeniti dell'iride. In quel frangente, mentre la punta del mio snowboard era rivolta verso quella che sembrava discesa e mentre credevo di scivolare, avvertii un leggero, delicato tocco sulla punta del cappello. "Eccoli qui, i bastardi" pensai credendo che uno di loro mi stesse giocando un brutto tiro; ma voltandomi... ancora il nulla.
Incredulo mi avviai di nuovo accorgendomi poco dopo, di un rinnovato contatto di chissà quale oggetto o entità sulla sommità del capo. La sensanzione era quella d'aver ricevuto una sorta di pizzicotto al solo tessuto del mio copricapo, come se qualcuno provasse a sfilarmelo dall'alto. Iniziai ad agitare reiteratamente la mano destra sulla punta del cappello nell'intento vano di scacciare qualcosa di cui ignoravo l'esatta natura. Probabilmente, ero molto più simile ad un'apicoltore attaccato dai suoi insetti che ad uno snowboarder, tanto era il gesticolare confuso, ma il punto è che non capivo cosa diavolo stesse accadendo ed il caos generato dalla situazione non m'aiutava di certo! Finché... approfittando di una breve ed improvvisa mancanza di vento le mie orecchie riuscirono a percepire inequivocabilmente un crepitio forte e chiaro provenire dall'alto, appena sopra la mia testa.
Ora era Zeus a scagliare la sua ira! immaginai il bluastro di quella scarica elettrica che continuava a ronzare sulla mia testa. Istintivamente mi accovacciai, piegai le ginocchia quasi a toccare il sedere sulla tavola, mentre quest'ultima continuava a muoversi in una non meglio definita direzione. Il crepitio andava e veniva ma sembrava inseguirmi senza pietà ed io, nel disperato tentativo di nascondermi, di sfuggire all'inusitato, incrociai le mani sul capo quasi a voler sostituire i miei arti all'azione di un provvidenziale isolante.
Nell'insolita posizione che assunsi, caddi una volta, forse due... non ricordo. Ricordo però chiaramente che in quel frangente, dagli anfratti più reconditi della mia materia grigia, si materializzò l'immagine straziante di un cadavere carbonizzato. Una scena che ebbi la sventura di osservare qualche anno prima, una vittima di un incidente stradale che mi turbò non poco. Ricordai la sua testa annerita e fumante tra quelle piccole fiammelle ancora sparse qua e là sulla carreggiata e, fuori dal finestrino, quel polso in realtà molto più simile ad un tizzone sul quale luccicava, ormai incongruo, un braccialetto d'oro.
Persi la cognizione del tempo, ancora oggi non so dire se fui rincorso per secondi o minuti, la scarica elettrica pareva essere dotata di intelligenza, per tanto che riusciva a scovarmi in mezzo a tanto spazio. Ne sentivo l'ossessionante solletico sul cuoio capelluto, esattamente al centro del cranio. A nulla serviva lo scombinato agitarsi dei mie arti.
Pensai di morire, di finire arso come l'uomo dell'autostrada. E forse ci andai vicino perché poco dopo, l'enorme accumulo elettrico presente nell'aria trovò sfogo liberando simultaneamente un accecante bagliore ed un fragore a dir poco assordante. Fu il colpo finale. L'assoluta sincronia fulmine-tuono, il fatto che non fosse passata una sola, misera frazione di secondo tra i due, mi fece capire che ero proprio lì, nel bel mezzo della festa. Avevo il battito accelerato, provavo ancora smarrimento e stupore... sì, a dirla tutta ero meravigliosamente stupito d'essere ancora vivo e vegeto sulla madre terra dopo quel botto.
D'incanto, in maniera del tutto surreale, quello che seguì fu silenzio, inquietante silenzio. Le mie orecchie fischiavano ancora per la violenza subita, ma non fu difficile ascoltare, dopo un breve peregrinare, quel "dleng dleng" tipico dell'impianto di risalita. Lo seguii, cercando di non perdere quel flebile rumore continuo che proveniva dalla lontana destra. Il suono dello skilift fu il mio filo d'Arianna. La sagoma scura di un primo pilone si materializzò nella nebbia come un miraggio; se si fosse trattato d'un film avrei definito la sua apparizione una dissolvenza incrociata, inaspettata a tal punto da incutere timore. Di lì fu facile raggiungere il rifugio poco più in basso.
Il rifugio era colmo di gente spaventata, ognuno raccontava la sua esperienza. Nel mio silenzio, in piedi nella ressa, con il mento poggiato sulle mani che ora tenevano la tavola verticalmente, tentai di ascoltare tutti carpendo informazioni a destra ed a manca. Qualcuno in preda a panico, qualcuno disperato cercava l'amico; una ragazza, in particolare, narrava mimando di come i suoi lunghi capelli si fossero drizzati verso il cielo già prima che l'inferno si scatenasse.
I miei amici arrivarono poco dopo. Disorientati, erano scesi troppo perdendo la via del rifugio. Lo sgomento era ancora stampato sui loro volti.
Deridendo tutti, il sole tornò a splendere come nulla fosse accaduto.
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5 Comments:
Ciao Barone Rosso...
anch'io me la ricordo bene quella avventura....
ho ancora in mente la mia amica che strillava come una pazza: "...scappa ... scappa ...scappa..." e dopo una frazione di secondo un boato ed una luce da credere veramente di rimanere fulminati all'istante.
Comunque la Mamma Majella ci ha tenuti ancora con sé....
ciaaaaa
micia
By Anonimo, at 09:37
Impressionante la tua descrizione che ho letto con una certa ansia. Se alla fine avessi citato gli ufo non mi sarei meravigliato più di tanto! ;-))
Anni fa in Jugoslavia (era ancora Jugoslavia tutta :-) mi son trovato a pochi metri da un fulmine globulare... una cosa quasi finta per quanto era strana. Pensa che mi sono spaventato solo parecchio dopo! :-)
Aloha
By Anonimo, at 16:03
Ah ora Ho capito pechè sei così strano!
FULMINATO è il termine adatto.
ZA Milijett'
By Anonimo, at 15:15
Brutta esperienza capitatami anni fa sulla vetta del Gran Sasso. Impotenza totale. Da allora, se sono su una cresta o nei pressi di una cima, bastano poche nuvolette per crearmi un po' d'ansia.
By Anonimo, at 10:38
leggere sui fulmini mi mette davvero tanta paura. proprio qualche giorno fa cercavo delle informazioni sui fuochi di san'elmo perchè avevo assistito ad una lezione fatta proprio sui fulmini da un metereologo. Girando su internet ho trovato qualche video su youtube, ma sono tutte riprese fatte dalle cabine di pilotaggio degli aereoplani, fatte ovviamente in sicurezza. Non deve esser stato bello quello che hai provato, immagino il terrore. Ho letto che si percepisce visivamente anche un'alone bluastro, tu nella confusione l'hai visto?
By naturagrezza, at 18:50
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