:: Elucubro ::

giovedì, aprile 28, 2005

Majella - traversata Mammarosa/Passo S. Leonardo

É quando lo desideri ardentemente, è quando spulci minuziosamente per un'intera settimana siti meteo a iosa, è quando la tensione aumenta progressivamente, è quando sei all'ossessiva ricerca d'informazioni, è quando trascorri una notte immerso in un intreccio di pensieri che hanno la meglio su un più pertinente riposo...

É quando accade tutto questo che ci si rende conto di aver toccato un limite, il nostro limite.

Tante uscite in backcountry... ma mai nessuna ci aveva coinvolto così tanto a livello emotivo come l'agognata traversata della Majella.Qualche veterano sci-alpinista sorriderà di fronte a cotanta sincera fragilità, ma nella nostra decennale esperienza in snowboard abbiamo imparato che la montagna richiede umiltà e noi, di umiltà e paura, in questo specifico caso, abbiamo fatto veramente il pieno.28 Aprile 2005 ore 8:00 - Da Fonte Tettone, in quel di Mammarosa trainati da un gancio tra le gambe; la solita apparente routine viene tradita solo dai pesanti zaini con ciaspole e bacchette telescopiche al seguito.

Lo stato d'animo è quello tipico di un enorme, misterioso punto interrogativo. Né io, né il mio compagno di avventura proferiamo parola, ci prepariamo in silenzio mentre il "dleng dleng" di uno skilift desolato sembra prendere il ritmo del nostro battito cardiaco.

Ci avviamo lentamente, coscienti dell'unica certezza assoluta: il tempo. Non di certo quello meteorologico, ma quello da trascorrere camminando che si prevede in ogni caso lungo ed estenuante.
In un'ora raggiungiamo i resti del Blockhaus, antica costruzione risalente al 1864, atta ad ospitare i soldati che combattevano le bande di briganti molto attive nell'epoca. Di fronte a noi, ben visibile, grazie anche alle ottime condizioni meteo, parte del lungo percorso da affrontare; in sequenza: il Monte Focalone (a centro), cima Pomilio (poco più a destra), il secondo Portone e Monte Rotondo (l'ultima vetta sulla destra).

Il percorso verso il Monte Amaro è fatto di parecchi dislivelli, sia in salita che in discesa, ma la prima ascesa verso il Focalone è forse la peggiore di tutte. La vera fortuna è che la si affronta all'inizio. Particolare attenzione bisogna prestare alle insidiose trappole tese dal pino mugo che noi chiamiamo confidenzialmente il pino Ugo. Il pino, represso dalla sua bassa statura e dal nome altrettanto corto, si diverte a camuffarsi da prato tra la neve, così che l'ignaro viandante corre il rischio di sprofondare pericolosamente fino all'inguine.

Alle 11:40, come da previsioni calpestiamo la tondeggiante vetta del Focalone (m 2676) dalla quale è possibile intravedere la restante parte della nostra fatica. Alle nostre spalle la foschia appanna l'orizzonte confondendo cielo e mare.

Proseguiamo rinnovati energicamente verso cima Pomilio attraversando il primo Portone; la stretta cresta separa la Valle dell'Orfento dalla Valle delle Mandrelle... (n.d.r.: immensa gratitudine a chi saprà fornirmi indicazioni sul significato di Mandrella)

Il mio amico di sventura, dopo aver superato il Portone, mi sussurra di non aver notato alcun citofono...
argh! voi, in quale valle l'avreste scaraventato? se avessi avuto la certezza sulla natura animale e carnivora delle mandrelle, avrebbe meritato certamente il pendio omonimo alla sua sinistra!
In realtà la tensione sta diminuendo e lascia spazio ad un'intensa gioia: la semisferica sagoma del bivacco Pelino è sempre più vicina! (minuscolo punto rosso, foto in basso. Guarda bene, che c'è!)

Abbiamo anche modo di allacciarci la tavola per una stupenda discesa verso la valle Cannella; un caldo, sconfinato deserto di neve dove solo le nostre tracce testimoniano una presenza umana (beh, almeno per oggi).

Sono le 13, abbiamo superato di molto il punto di non ritorno, il mio zaino ha perso molto del suo carico: spariti per incanto un paio di panini e circa un kg e mezzo d'acqua. (eh sì, perché l'acqua si beve a litri, ma si trasporta a chili!). Piccola sosta al rifugio Manzini (m 2520) prima di affrontare gli ultimi 200 metri di dislivello.

Sarà l'affanno, sarà la preoccupazione per le nuvole di calore che iniziano a circondarci velocemente... ma l'ultima ora è la più taciturna. Proseguiamo distanti, assorti nei nostri pensieri; ad ogni cambio di direzione lo sguardo si alza per controllare che tutto sia ok. Osservo il Gran Sasso sullo sfondo, da qui si ha la falsa impressione di essere più in alto, si copre comunque una posizione dominante e privilegiata su panorami mozzafiato.

Ore 15:00 - dopo sette ore... il Monte Amaro! con molta probabilità siamo i primi ad aver percorso l'intero massiccio con la tavola in spalla. Di fatto la traversata offre pochi spunti per la discesa lungo il suo tragitto, è da ritenere quindi poco remunerativa dal punto di vista meramente freeride. Bisogna essere insomma amanti della montagna, ancor prima che appassionati dello snowboard, per trovare la carica psicologica trainante.

Le possibilità di discesa sono ad ogni modo tutte validissime ed allettanti; scenderemo al Passo S. Leonardo per la rava della Giumenta Bianca. Il canale è già stato solcato dalle nostre tavole, ma mai dai 40° gradi di pendenza dell'accesso centrale. Nonostante lo stato fisico, provo grande euforia, ad ogni mandata dei cricchetti l'adrenalina sale, fulmineamente sono in equilibrio sulla mia lamina back ad osservare l'intera discesa. (vi risparmio la foto, probabilmente già qualche "56 k" mi ha mandato all'altro paese)

Massimo mi segue inizialmente timoroso, ma ben presto entra in sintonia pennellando le prime curve. Del resto, adattando quanto s'afferma in aeronautica: se il decollo è facoltativo, l'atterraggio è obbligatorio!

Puoi spalmare anche colla per topi sotto la soletta, ma di qui si scende in ogni caso!

All'inizio tra alte quinte di rocce, via via su spazi meno angusti.

Poco più in basso si stenta a credere a quell'immensa superficie che dall'alto appariva poco più ampia di una carreggiata stradale. La neve è primaverile, peccato per il sole latitante che la fa apparire un tantino gialla.

Contrariamente alle più rosee previsioni, riusciamo ad attraversare il bosco con lo snowboard ai piedi. Una ventina di minuti di trekking sul prato e centriamo a naso il luogo dove abbiamo letteralmente abbandonato una vettura la sera precedente. (nota: in totale la giostra con le auto è costata 400 km!)

La Majella, ora assolata, ci guarda imponente dall'alto della sua estrema sommità. Non siamo noi ad aver vinto, bensì essa magnanima nei nostri confronti.

Special thanks allo snowboard, alla Majella ed all'amico Max senza il quale, tutto questo non si sarebbe avverato.

Wilderness forever!